
Arancia meccanica di Anthony Burgess

Trama e informazioni generali
Ambientato in un futuro surreale quanto in un passato improbabile, "Arancia meccanica" racconta la storia di Alex, 16enne violento e appassionato di Beethoven ("la gloriosa Nona di Ludwig van" ), capo, forse un po' troppo autoritario, di una banda di teppistelli. Le cose si metteranno male quando i suoi 'amici' gli volteranno le spalle e così finirà prima in prigione, dove riuscirà a distinguersi per la buona condotta, poi volontario di un devastante programma anti-violenza e successivamente vittima dei suoi stessi soprusi. Le azioni e le situazioni vengono raccontate con un ritmo incalzante e sintetico, che non lascia spazio a commenti superflui. Spetta al lettore comprendere.
L'opinione dello scrittore, ad ogni modo, è ben delineata: Alex non è cattivo, in quanto prodotto di una società sbagliata ma la sua cattiveria è qualcosa che lui ha scelto con piena consapevolezza. La morale è chiarissima: meglio un mondo in cui la gente sia volontariamente violenta che un mondo programmato per essere buono.
Ciò che lascia più il segno, però, è che tutti i luoghi descritti ci risultano in qualche modo familiari. Burgess descrive infatti bar, strade, vicoli, condomini, camere da letto: tutte ambientazioni comuni, che richiamano la nostra esperienza.
Non si chiedono mica quale è la causa della bontà. E allora perché il contrario?
La lingua nasdat
Fatto di modi di dire e termini inventati (neologismi), che vanno a comporre uno slang prodotto ad hoc dall'autore, il libro è un'accozzaglia di parole senza significato. Alex e compari useranno questo linguaggio in ogni istante, e dopo poche pagine la tua mente inizierà a fare collegamenti e a capire. E quando succederà, ti ritroverai indissolubilmente legato a quei personaggi così terribili e diversi da te. Ti sembrerà di conoscerli da una vita, di essere parte della storia. Ti sentirai uno di loro. Ma Burgess non riesce a coinvolgere in vicende per le quali dovremmo provare disgusto solo attraverso il linguaggio. L'autore usa un'altra tecnica, terribilmente riuscita. Alex non si limita a raccontare la sua storia: la racconta a noi.
Il Nadsat è spiegato nel romanzo da uno dei personaggi, lo psichiatra che ha in cura (la cura Ludovico) Alex:
"Odd bits of old rhyming slang," he says. "A bit of gypsy talk too. But most of the roots are Slav. Propaganda. Subliminal penetration."
https://www.orizzontikubrickiani.it/Diznadsat.html
Il gergo isola, distingue, protegge, crea l'inaccessibilità al gruppo ristretto sino a mitigare anche le azioni peggiori condivise da chi lo parla: Arancia Meccanica è del resto un libro (e un film) sulla violenza ed è significativo che l'autore abbia cercato di oscurarla, ingannarla attraverso lo slang. Così riesce a descrivere una violenza desensibilizzata, estrema e gratuita, che sia quella della gang dei Drughi nelle loro violazioni, rapine e pestaggi o dello Stato che cerca di riprogrammarli. Per questa violenza occorre allora inventare parole nuove per renderla accettabile, per sdoganarla, renderla edibile.
Anthony Burgess è sempre stato profondamene affascinato dal linguaggio della strada: infatti, più di 50 anni fa aveva cominciato a lavorare a un vero e proprio dizionario della lingua slang inglese, di cui aveva anche accennato nella sua autobiografia. Di questo dizionario, però, il pubblico dei suoi lettori non ha mai saputo niente, e di cui, dopo la sua morte al 1993, si erano praticamente persa ogni traccia. Proprio in questi giorni, però, le pagine che lo scrittore conservava sono venute alla luce. A trovarle è stato l'archivista della International Anthony Burgess Foundation di Manchester, in una vecchia scatola di cartone appartenuta allo scrittore, sotto alcuni oggetti della sua casa.
Burgess aveva compilato solo tre lettere dell'alfabeto (A, B, Z), senza mai riuscire a concludere il suo lavoro: un progetto molto ambizioso, e che avrebbe richiesto anni e anni di ricerche, commissionatogli nel 1965 dalla Penguin Books.
Ma, anche se incompleto e composto appunto solo da tre sezioni, il dizionario potrebbe tornare utile ai fan di Arancia Meccanica, del libro e del film, che potranno scoprire il significato preciso, o quello che l'autore intendeva dargli, di molte delle parole contenute nella versione in lingua originale dell'opera. Come si può vedere da alcuni lemmi riportati di seguito, il tono non è quello accademico di un dizionario normale, ma è ironico e divertente.
In inglese si chiamano "artlangs", da noi molto più prosaicamente "lingue artistiche". Sono quelle, spesso inventate di sana pianta, che gli scrittori utilizzano per dare fascino, spessore e coerenza ai loro universi narrativi. Gli esempi non si contano: il più illustre è probabilmente J.R.R. Tolkien, che per il suo "Il Signore degli Anelli" ne creò addirittura diverse. Ma all'espediente ricorsero in parecchi, con risultati decisamente da ricordare, da George Orwell per "1984" (la neolingua) a Ian Banks per il "Ciclo della Cultura" (il marain), da Christopher Paolini per il "Ciclo dell'Eredità" (l'antica lingua) agli abitanti della Los Angeles di Blade Runner, che parlavano il cityspeak, uno strano slang che mischiava giapponese, spagnolo, tedesco a tracce di ungherese.
Per certi versi anche la metallingua di Mondo9, che fa dialogare navi e umani, risponde alla stessa logica alla base delle "artlangs" degli autori citati: inventare una forma di comunicazione che suggerisca empatia tra membri di una medesima comunità e al contempo marchi un territorio segnandone confini invalicabili non solo in termini di affiliazione e comprensione reciproca…
Una prima fonte di curiosità sta addirittura nel titolo di libro e film. In lingua nadsat la parola "orange" (arancia) viene fatta derivare dal malese "orang", che significa "uomo", così che un'arancia a orologeria starebbe per un uomo a orologeria, quindi pronto a esplodere, (un po' come il protagonista che, forzatamente privato del libero arbitrio e della manichea possibilità di scegliere cosa è bene e cosa è male, si ritrova a essere, sotto la scorza del cittadino comune, un automa programmato ad hoc), anche se, in realtà, lo stesso Burgess ha sempre dichiarato di avere preso la locuzione "clockwork orange" da un dialetto parlato nella zona est di Londra dalla classe proletaria (il cockney), che usava indicare con questo termine "qualcosa di bizzarro internamente, ma che appare normale e naturale in superficie". Qualunque versione si prenda per buona è innegabile che Burgess, creando il suo personale vocabolario, abbia voluto giocare con i due significati.
Una seconda curiosità, che a dire il vero c'entra poco o nulla con la lingua inventata da Burgess, si deve invece alla traduzione italiana del romanzo: nel passaggio dall'inglese al nadsat e dal nadsat all'italiano, il latte+ (nell'originale Milk Plus) è stato genericamente tradotto in "latte corretto". È invece rimasto invariato, sia nel film sia nella versione italiana del libro, il Korova Milkbar, dove i drughi (gli amici di Alex, il protagonista), proprio all'inizio della vicenda, si ritrovano per organizzare le loro notti a base di ultra violence. "Korova" in russo e in nadsat significa "mucca", dal che si arguisce che il latte+ altro non è che latte vaccino opportunamente "corretto" con droghe di vario tipo.
La cura Ludovico
Chi sono i veri villain? Alex DeLarge e i suoi Drughi o la società e i suoi soprusi?
Kubrick spiega: "è necessario che l'uomo possa scegliere tra bene e male e che ci sia il caso in cui egli scelga il male. Privarlo di questa possibilità di scelta, significa renderlo qualcosa di inferiore all'umano – un'arancia meccanica appunto."
Korova Milk Bar, è una serata come tante altre: Alex e il suo gruppo di Drughi, prima di dare il via a un'altra nottata della tanto amata ultraviolenza, sorseggiano placidamente Latte+ (corretto con mescalina e altri stupefacenti) per poi dedicarsi a stupri, percosse e razzie. Colonna sonora delle scorribande notturne è la musica classica, della quale il protagonista è cultore e grande appassionato (nel film egli è solito riferirsi a Beethoven come al «buon vecchio Ludovico Van»).
Più volte i compagni di scorribande mettono in discussione l'autorità del giovane all'interno del gruppo, naturale conseguenza dell'anarchia che guida le loro esistenze sregolate. Il culmine di questo insofferente ammutinamento costituisce il turning point che mette in moto la seconda metà della pellicola. Al termine di una rapina finita nel sangue in una clinica per dimagrire, il protagonista viene aggredito dagli altri Drughi e lasciato privo di sensi in balia della polizia. Incriminato per l'efferato omicidio (compiuto con una scultura di gesso dalla forma fallica) dell'anziana proprietaria della struttura, Alex viene condannato a quattordici anni di reclusione.
In carcere il giovane si comporta civilmente e, grazie alla sua buona condotta, ottiene dopo due anni la possibilità di essere sottoposto a una terapia sperimentale promossa dal Governo, la cura Ludovico, in grado di redimere qualsiasi malvivente in soli quindici giorni per poi rilasciarlo. Allettato da questa prospettiva, Alex accetta di prestarsi come cavia: nulla sarà più come prima. Portato in un centro medico, qui viene sottoposto alla visione forzata di immagini e filmati di violenza e degenerazione: con le palpebre mantenute spalancate da appositi divaricatori e con la somministrazione di farmaci che provocano nausea e disgusto, il trattamento si rivela una tortura disumana. Ad accrescere ulteriormente le sofferenze del giovane è l'accompagnamento sonoro dei lungometraggi, quella stessa musica classica che tanto adorava e che ora non riesce più ad ascoltare senza restarne profondamente disgustato.
Il modello rieducativo della cura Ludovico non è altro che l'induzione di una insopportabile repulsione fisica, bieca privazione del libero arbitrio, nei confronti del male: d'ora in avanti Alex non sceglierà il bene per attitudine ma perché la paura del dolore lo frenerà dal compiere azioni criminose. Così riformato, dopo due settimane di terapia, l'uomo crudele e sanguinario si è trasformato in un tenero agnellino. Da amorale carnefice a vittima imbelle: il rientro in società dell'ex capo dei Drughi è quanto di più beffardo e crudele gli potesse accadere. I ruoli si sono completamente rovesciati e chiunque avesse subito le sue vessazioni ora è in cerca di vendetta per i torti passati: l'impossibilità di difendersi e di reagire rendono la sua vita un inferno e, a tal punto esasperato, il giovane sceglie la via del suicidio, gettandosi dalla finestra.
Risvegliatosi in un letto d'ospedale dopo il coma, Alex si rende ben presto conto di come qualcosa sia cambiato in lui. La rovinosa caduta ha azzerato gli effetti della cura Ludovico e il pensiero di compiere il male è tornato a essere una fonte di piacere. Il gesto estremo del ragazzo, tuttavia, ha profondamente scosso l'opinione pubblica, con il Governo accusato dalla stampa di aver esercitato metodi coercitivi nella procedura di rieducazione. Da questo scandalo il giovane trae il massimo del profitto: il Segretario per gli affari interni, in cambio della collaborazione di Alex, acconsente alla sua nomina a capo della polizia. Una posizione che gli consentirà di perpetrare le sue sevizie in piena legalità, senza più alcuna preoccupazione di carattere penale.
Quindi, a conti fatti, chi è il vero cattivo di questa vicenda? È maggiormente degna di condanna la propensione al male del ragazzo, scelta deliberata e consapevole, o la società che, pur di omologare i suoi figli e farli vivere in uno stato di quiete imperturbabile, non esita a operare lobotomie in grado di annullare il raziocinio umano?

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